Cani e droni in soccorso delle orche in via d’estinzione. Nello stato di Washington, tra le isole San Juan e l’isola di Vancouver, si svolge una missione di conservazione che vede protagonisti i nostri amici a quattro zampe. L’obiettivo è proteggere le ultime 74 orche residenti meridionali, una popolazione che lotta contro l’estinzione.
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A guidare l’insolita squadra c’è la dottoressa Deborah Giles, scienziata esperta di cetacei, affiancata da una collaboratrice straordinaria: Eba, un cane meticcio salvato da cucciola e dotato di un olfatto eccezionale. Da anni, il suo lavoro consiste nel rintracciare in mare aperto le feci delle orche (whale scat), un elemento biologico cruciale per la ricerca.
Perché un cane? Il motivo è semplice quanto geniale: il fiuto di Eba permette agli scienziati di localizzare i campioni biologici mantenendo il massimo della distanza dalle orche. La tranquillità degli animali è fondamentale; stare loro troppo vicino, o farlo in modo continuativo, provoca infatti nelle orche uno stress elevato che può compromettere la loro salute.
Quando Eba percepisce la traccia delle feci, lo segnala alla dottoressa Giles con un innalzamento del muso e qualche scodinzolio. Una volta recuperato, il campione è inviato in laboratorio per analisi approfondite.
Cani e droni in soccorso delle orche: cosa rivelano i campioni raccolti
Attraverso lo studio delle feci, i ricercatori ottengono un quadro biologico completo della salute di questi cetacei. Analizzano la dieta, i livelli ormonali, l’esposizione alle tossine ambientali e la presenza di parassiti. Si indaga anche sulla composizione del loro microbioma intestinale e sulla quantità di microplastiche ingerite.
I dati raccolti non lasciano spazio a dubbi: le orche residenti meridionali si trovano a un passo dal baratro. Il loro declino è dovuto principalmente a tre fattori: la drastica riduzione del salmone Chinook, la loro fonte di cibo primaria; l’aumento delle sostanze tossiche nell’acqua; e l’inquinamento acustico causato dal traffico marittimo, che interferisce con le loro comunicazioni e la caccia.
Come spiega la dottoressa Giles: “Sono un indicatore dell’ecosistema. Tutto ciò che causa il loro declino è colpa nostra, per cui è nostra responsabilità aiutarle a riprendersi”.
Addio ai metodi invasivi: l’era dei droni
La ricerca scientifica ha fatto passi da gigante, abbandonando le tecniche più invasive e dannose usate in passato. Fino a pochi anni fa si utilizzava l’arpionamento di dardi per la biopsia o l’installazione di tag satellitari sulle loro pinne dorsali. Tali pratiche causavano spesso stress, ferite e, in alcuni casi, infezioni mortali.
Oggi, Eba non è l’unica novità nel kit di strumenti per la conservazione non invasiva. Insieme alla dottoressa Giles lavorano James Sheppard e Charlie Welch del San Diego Zoo Wildlife Alliance. Hanno sviluppato droni specifici per catturare campioni del soffio delle orche.
Il drone si posiziona silenziosamente sopra lo sfiatatoio del cetaceo, raccogliendo la nuvola di vapore – ricca di materiale genetico e ormoni – in speciali piastre. “Otteniamo un’istantanea di ciò che succede all’interno dell’animale,” afferma Sheppard. Il team ha mantenuto un curriculum di volo impeccabile, senza mai causare collisioni o disturbo agli animali.
L’uso combinato di cani addestrati e tecnologia dronistica avanzata rappresenta oggi il fronte più promettente per raccogliere dati essenziali, senza